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DePlatonizzati
La Diseducazione comunicativa del nuovo Millennio.
1 Month ago

Questa mattina mi son svegliato verso le 8 e diversamente dalla Bella non ho trovato l'invasor ma solo me stesso. Sono quindi andato in bagno, mi sono lavato la faccia, poi sono andato in cucina, ho preparato un caffè (lungo, ahimè, chè gli espressi corti non riesco più a berli dopo 10 anni vissuti a Londra) e ho rimosso la modalità aereo dallo smartphone: un caro amico mi aveva mandato un messaggio vocale su Whatsapp.

Ho premuto il tasto play e ho ascoltato quello che aveva da dirmi.

Ho pensato qualche minuto poi ho risposto con un vocale a mia volta.

Ho poi scritto l’email di preavviso al mio padrone di casa per dirgli che tra due mesi cercherò un altro appartamento e nel mentre un altro amico mi ha mandato un altro vocale, questa volta più leggero.
Ho premuto play, l’ho sentito mentre mettevo su una lavatrice, ho saltato qualche parte muovendo il cursore sullo schermo dello smartphone e poi mi sono promesso di rispondergli, dopo, ma mi sono dimenticato e me ne sto ricordando solo ora.

Mentre sorseggiavo il caffè fissando la luce morente che a fatica si muove tra questi soliti nuvoloni scuri di questo mattino smorto che già ha un fetore di inverno, ho pensato a Whatsapp, a questo miracolo tecnologico che è la messaggistica istantanea.

Ho pensato a quanto siamo fortunati, oggi, noi che emigriamo in Paesi lontani, ad avere i nostri amici, i nostri fratelli, i nostri genitori, tutti i nostri cari a portata di un click (o forse è meglio dire di un tap) su Whatsapp.

Ho pensato a quanto sarebbe stato bello per mia nonna aver potuto avere la possibilità di ascoltare, in tempo reale, la voce di suo fratello partito per la Russia quando c’era lvi e mai più tornato, e che seppur poi morto in un lager al confine Uzbeko, avrebbe potuto ricordare l'ultima volta che si erano scambiati un saluto virtuale videochiamandosi; oppure poter aver avuto la possibilità di conservare la sua voce in un vocale e custodirlo gelosamente, come io faccio con un vocale di Francesco che è morto nel 2019 per un cancro al rene, e che nel vocale mi raccontava della sua esperienza con l'anestesia generale, e che in quel vocale esprimeva tutto il suo genio e la sua eleganza - tutte cose che a me mancano.

Poi, da un pensiero all’altro, sono scivolato in un sentimento di sconforto e nostalgia, non so se dovuto all'ansia che l'email del preavviso ha cominciato a mettermi oppure se al pensiero di Francesco, di mia nonna, di suo fratello o di questo cielo inglese che non è mai allegro.

E meditando su tutto questo, mi è venuto in mente Socrate, non quello storico che nessuno veramente conosce, ma quello platonico che poi in certe sezioni è Platone stesso.

“Celeberrimi sono I Dialoghi di Platone, fondamento della nostra Cultura Occidentale che ha, nel mondo classico Greco, origine ed essenza.
Il nostro essere Occidentali ed Europei e quindi Greci, è perció fondato sul Dialogo (edificante, costruttivo) e la conseguente maieutica socratica che sa di non sapere eppure impara (ricorda?) dialogando con l’altro e quindi con se stesso.
E quest'altro, cosí alieno e distante eppure cosí simile a noi e cosí vicino anche quando, nel Dialogo, ci contraddice e nella contraddizione ci edifica, ci espande, ci distrugge e ricostruisce, come Dioniso.

Eppure oggi abbiamo dimenticato tutto questo o semplicemente lo ignoriamo; Internet e l’avvento della digitalizzazione di massa, hanno storpiato questa caratteristica fondamentale del nostro essere Occidentali, Europei e quindi soprattutto Greci, del nostro essere discendenti di Platone.

È vero: la messaggistica istantanea ha abbattuto i tempi, velocizzando la nostra comunicazione, eppure se si osserva bene il mondo che ci circonda (guardali, in metropolitana, coi loro smartphone presi a rate, quanto parlano e mai ascoltano), notiamo come tutta questa tecnologia non ha introdotto qualità: tutto è veloce ma vuoto.

Leggo su un giornale online che l’attuale nuova generazione di adolescenti soffre della fobia della telefonata, e buona parte della mia generazione, a cavallo tra due mondi (quello analogico e quello digitale) inizia a soffrire la stessa sindrome. Eppure hanno costantemente lo smartphone tra le mani, e li vedi avvicinare l'altoparlante all'orecchio per sentire (sia mai dovessero invece ascoltare), e subito dopo replicare e replicando recitare un monologo di 3 o 4 minuti, per poi osservare lo schermo soddisfatti, e scrollare su e giú Facebook o Instagram.

La loro fobia, a me sembra, una paura infondata del confronto, del contraddittorio, del Dialogo che i Greci ci hanno prometeicamente donato.

Il modello comunicativo a noi contemporaneo, attraverso gli strumenti tecnologici della rivoluzione digitale, è fatto di messaggistica vocale, istantanea, che il più delle volte non produce un vero e proprio Dialogo quanto, piuttosto, una serie di monologhi senza contraddittorio.

Monologhi che, spesso e volentieri, non vengono nemmeno ascoltati per intero dal ricevente: chi non ha, usando il gergo inglese, skippato, saltato, dei passaggi durante l’ascolto di un vocale su Whatsapp che dura 2 o 3 minuti? Tutti noi.

Quando riceviamo un vocale abbiamo automaticamente la facoltà di sentirlo ma il diritto di non ascoltarlo; siamo liberi di saltare interi secondi, interi periodi, annoiati il più delle volte e rispondere a nostra volta con monologhi che verranno probabilmente trattati allo stesso modo.

Diamo tutti per scontato che i nostri vocali verranno ascoltati con attenzione e per intero quando in realtà la stessa app di Whatsapp ti dà la possibilità, con gli ultimi aggiornamenti, di accellerare la velocità del vocale e non ascoltarlo per intero alla velocità normale ma sentirlo alla velocità a noi più comoda.

Quanti vocali rimasti nella memoria della nostra applicazione sul nostro smartphone rimangono in realtà inascoltati? O quanti sono stati ascoltati in maniera approssimativa, sentiti, non per il gusto di ascoltare e dialogare, quanto per il gusto di sentirli velocemente e velocemente replicare per dire la nostra.

Mi guardo intorno e non posso non notare che siamo tutti perció dePlatonizzati e che questa che noi chiamiamo comunicazione istantanea Non è il Dialogo, quello che ha fondato la nostra Cultura Occidentale, Europea e quindi soprattutto e inevitabilmente Greca.

Lentamente, ma inesorabilmente, le nuove generazioni dimenticano I Dialoghi di Aristocle detto Platone, e I Dialoghi con se stesso di Marco Aurelio, o Le Meditazioni di Cartesio o quelle da peccatore di Sant’Agostino.

DePlatonizzati vuol dire essere diseducati all'ascolto, anche di noi stessi e la paura del contraddittorio non favorisce una comunicazione sana, nemmeno con se stessi.

Questa comunicazione non è reale e Whatsapp per quanto utile, il piú delle volte non migliora la qualità del nostro linguaggio e della nostra comunicazione: la deteriora.

Ci stiamo lentamente disabituando al contraddittorio e l’ansia generazionale verso le telefonate tradizionali è un chiaro campanello d’allarme: siamo tutti proiettati in un futuro di NonDialogo, senza Dialogo, senza contraddittorio e contraddizioni, dove tutti parlano e nessuno ascolta, dove i riceventi non sono degli enti comunicativi ma dei semplici specchi riflessi di una diseducazione generazionale.

La velocità, nei termini del discorso, sta cedendo il passo alla qualità…”

Mi riascolto, d'accordo con me stesso.

Bevo l’ultimo sorso di questo caffè che nel mentre si è fatto freddo. Do un'ultima occhiata a questo cielo settembrino che vorrei odorasse di mosto ma invece odora di marcio, e pioggia e insoddisfazione.

E, finalmente, mando questo vocale Whatsapp a quel mio amico caro.




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