Non sempre conviene chiarire il segno-valore di un evento, di una minaccia, di un'occasione, di una possibilità. Anzi, forse non conviene davvero quasi mai.
Chiarire significa spillare una farfalla viva su un pannello di sughero; infrangere l'onda miracolosa invece di cavalcarla o seguirne l'avventura.
Sarebbe bello conoscere tutto il necessario della vita.
Volere conoscere, dover conoscere, sono solo vizi calatici dall'alto di una cultura deviante del controllo, o forse sono vizi suggeriti dalla falsata percezione della profondità del passato. Nessuno conosce davvero nulla di ciò che conta o che davvero serve, non del passato, né del presente e tantomeno del futuro.
L'ignoranza è eterna e smisurata. E che torni a essere benedetta. Maggiore l'ignoranza, maggiore la superficie calpestabile per l'intelletto e per il corpo.
La conoscenza delle cose è invece provvisoria e limitata, frammentata nella sua folle condivisione tra noi tutti. Ogni frammento di conoscenza è mattone di prigione.
La conoscenza è complicità. La conoscenza senza il "co" è invece una "noscenza", una sapienza personale e interiore, oscura e concentrata, non davvero comunicabile, forse l'unica che significhi davvero qualcosa, come il nostro stesso polso, i valori del ferro nel nostro sangue, tutti i sogni fatti la scorsa notte.
Nell'era di questa folle condivisione globale di tutto, "il vero per sé stessi" è ormai evaporato. Involontariamente ci si richiede a vicenda - e continuamente - il permesso di essere, di vivere, pensare, osare, valutare, parteggiare. Non ci si convince di conoscere qualcosa se non se ne controlla - di questo qualcosa - l'altrui conoscenza o se non ce ne si assicura la diffusione.
Allora forse tutti conoscono ma nessuno più sa. Nessuno è infatti l'altro.
Sì, si è completamente isolati nella disumana fiumana di questa folle umanità senza coda e senza veri capi, senza mappa e con sempre meno territorio.
Ma a ben vedere, questa orrenda riscoperta di solitudine non toglie alcun divertimento alla vita, anzi! Sapersi soli rende nuovamente la vita un gioco di egoistici equilibri, dondolii, altalene; avventure, esplorazioni, sorrisi palpitanti e sbucciature sanguinanti.
Le responsabilità adulte sono certo una realtà, ma non dovrebbero oscurare il sottofondo infantile dell'impresa umana. Perché se questa Terra è dal primo momento un "asilo" è probabile che lo voglia essere - a nostra insaputa - per tutto il tempo della nostra permanenza.
Cos'è - che poi - da adulti ci irrigidisce? Cosa ci distacca dalla leggerezza dell'infanzia?
Forse è la collezione di nomi, segni e valori che sembriamo accumulare e siamo misteriosamente ansiosi di condividere.
Forse è il valore che diamo al nostro nome e cognome, che si gonfia inutilmente e a dismisura con l'età. Ma - anagrafica a parte - chi siamo poi davvero? Tra un paio di generazioni - se saremo fortunati - saremo un nome sbiadito, raramente ricordato e pronunciato, riposto nello sgabuzzino del passato perfino dai discendenti a noi più stretti.
Da adulti, allora, come dovremmo davvero gestire i dubbi lancinanti delle scelte più importanti? Dove porre - nel nostro sistema di valori traballanti e mendaci - questioni e persone che ci risultano impossibili da collocare?
A un certo punto della vita tutto diventa azzardo, scommessa, statistica, rischio, responsabilità, e lo diviene a un punto tale che l'intera esistenza si trasforma in una auto-minaccia.
Ogni questione brilla del suo interrogativo più abbagliante. Tutto si presenta con un sorriso... quantomeno duplice, invitante e minaccioso insieme. I bivi che una volta si inforcavano speditamente e sportivamente divengono lunghe stazioni di stupore.
Morto o vivo, o morto e vivo contemporaneamente che sia, il gatto di Schrödinger è chiuso in una scatola con lucchetto. Passare avanti.
La risposta giusta non esiste per nessun quesito fondamentale adulto e non può essere conosciuta in anticipo.
Ma da un paio di giorni a questa parte credo di esser tornato a sapere tutto il resto.
Ripeti con me ad alta voce:
"Io ho davvero sempre ragione e sono circondato da stupidi."
E questa non è conoscenza. È pura sapienza. Vale dunque per tutti e il concetto non decade con la sua condivisione.