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Ennui
3 Months ago

Seduto in metropolitana, decine di metri sotto l'asfalto che ci separa dal mondo libero in superficie, osservo da dietro gli occhiali da sole le facce in fila degli altri pendolari, uomini e donne esattamente come me.

Facce diverse tra loro per tipo, età, sesso e costituzione.

La dimensione dei loro nasi è diversa, la forma dei loro occhi è diversa, il contorno e lo spessore delle loro labbra sono diverse, la texture dei loro capelli e le loro acconciature sono diverse; e provo odio e disgusto.

Osservarli così, come fossero immortalati in un quadro, mi dà il giusto tempo per osservarne tutte le particolarità dei volti e di pensare, francamente, che animali spiacevoli e ripugnanti sono questi uomini e queste donne

Li osservo e scrupolosamente penso alle atrocità che quei volti e quei corpi commettono ogni santo giorno: sputano sentenze e giudizi definitivi, rimangono fermi nelle loro stupide certezze, leggono senza leggere tra le righe e non si soffermano sui dettagli: non cambiano mai idea.

Li immagino mentre questa sera si rifugeranno nelle loro case perfette e siederanno a cenare, divorando la cena come fanno i maiali, e in questa mia allucinazione li guardo masticare al rallentatore - osservo i loro denti gialli strappare la carne dall'osso, e ruminare l'insalata e i broccoli come fossero bovini e pecore.
Ogni morso si ripete come in un loop temporale senza fine, unto, umido e rumoroso, e sono rivoltato e stregato da questa fantasticheria.

Improvvisamente qualcuno starnutisce e io torno in me, e all'ennesimo starnuto rimango per qualche altro secondo assorto, ipnotizzato dalle goccioline di muco e saliva che si nebulizzano nell'aria, dirimpetto a quei loro volti selvaggi.


Mi fanno veramente noia e ripugnanza.


Poi, come un'illuminazione, improvvisa, inattesa, fulminea: è la loro capacità di astrarre e astrarsi che muove in me un sentimento nuovo di compassione e comunanza verso questi compagni d'arme, non piú nemici; questa innata facoltà di generare il pensiero che dà vita a passato e futuro, e che produce i linguaggi e il linguaggio, codice tutto umano per comunicare con se stessi e con gli altri: una facoltà, tutta umana, solo umana, nient'altro che umana.

Questi volti, cosí messi in fila, mutano perciò nei volti delle statue di Talete, e di Parmenide, e di Socrate, e di Aristotele, e di Leucippo, e di Epicuro, e di Epitteto, e di Seneca; il naso aquilineo dipinto di Kant, il disappunto e il malumore di Schopenhauer e di Battiato, gli occhi che bruciano di follia di Nietzsche, la serietà di Wittgenstein e de Beauvoir quando posavano per una fotografia, la serenità di Russell che gioviale e pacato fuma la pipa, gli occhi avventurosi da marinaio di London e di Conrad e quelli inquieti, mai felici, di Pavese, pensatori ma scrittori.

Nel riflesso del vetro del vagone di contro a me, la mia espressione austera mi ricorda quella di Diogene di Sinope che, come me medesimo, cercava l'Uomo in quei volti sgraziati, scimmieschi, grotteschi.

E così mi sovviene l'atomo finito, e la paura della morte si dissolve nell'aria.

Arrivo alla mia fermata, mi immergo nella fiumana vomitata in superficie dalle scale mobili, riemergo in questo mondo che credo libero ma che so essere nei fatti prigione e caverna.

Perchè odiare?





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